Il decreto legge 116 del 3 settembre 2020 applica per l’Italia la direttiva UE relativa agli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Si tratta di un decreto che cambia molto l’approccio delle aziende e dei produttori alla commercializzazione di beni di qualsiasi tipo, dal singolo prodotto del supermercato, alla componentistica e la merce di produzione delle aziende. Questo perché riguarda gli imballaggi di qualsiasi tipo e il loro corretto smaltimento quando giungono al “fine vita”, e dal 1 gennaio 2023 devono essere correttamente identificabili tramite etichetta ambientale.

Informare e sensibilizzare alla raccolta differenziata

L’obbligo di etichettatura nasce sostanzialmente dal bisogno di rendere più efficiente la raccolta differenziata, sensibilizzando tutti al problema dei rifiuti e del loro corretto smaltimento, di cui gli imballaggi rappresentano una delle fonti primarie. Questa nuova pratica vuole quindi facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi, e lo fa informando i cittadini e i consumatori sul loro corretto smaltimento. Per questa ragione i produttori sono tenuti ad indicare sugli imballi i materiali di cui sono fatti.

Cosa è imballaggio e cosa no?

Prima di entrare nello specifico dell’etichettatura è opportuno chiarire cosa deve essere etichettato, in quanto vi sono degli elementi di packaging che non si crede siano imballaggio, mentre altri elementi possono essere fraintendibili.

La normativa vigente (Art. 218 D.Lgs. 152/2006) dà questa definizione di imballaggio: “il prodotto, composto di materiali  di  qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione  e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione,  nonché  gli  articoli  a  perdere usati allo stesso scopo”.

Seguendo questa definizione è chiaro che gli elementi da etichettare diventano più di quanto si aspetti, infatti la normativa prosegue categorizzando gli imballaggi in tutto il loro percorso di vita, dalla fabbrica al cestino domestico o dell’ufficio.

Il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) riassume e approfondisce bene la norma, in particolare ha già stilato un’ampia lista di cosa è imballaggio e cosa non è imballaggio tra quegli oggetti che possono far venire dei dubbi o rientrano in delle aree grigie della norma.

Per fare alcuni esempi degni di nota:

Sono considerati imballaggi gli appendini dati con i vestiti nei negozi e i cartellini applicati agli abiti; i bastoncini dei lecca-lecca o dei gelati; i bancali di legno per i trasporti; le shopper e borse dei negozi; le etichette e gli adesivi sulle bottiglie o vasetti; il nastro adesivo per chiudere i pacchi; il film estensibile per sigillare la merce sui pallet; il pluriball ed altri materiali posti all’interno delle confezioni che fanno spessore e protezione; e molto altro.

Invece non sono considerati imballaggi le buste portadocumenti o porta cartellini; i foglietti illustrativi dei medicinali; le cartellette e i raccoglitori per l’ufficio; le cartucce per stampanti; le custodie per occhiali, macchine fotografiche, gioielli e altri beni durevoli; le pellicole di alluminio o plastica per uso domestico; le penne e matite con relativi cappucci, sia per scrittura, disegno o cosmetica; e molto altro.

Quali aziende sono soggette all’obbligo di etichettatura degli imballaggi?

La norma chiarisce che la responsabilità è condivisa tra tutte le parti coinvolte nel momento in cui viene introdotto un imballaggio sul mercato. Finché un produttore di un articolo è anche il produttore della sua confezione questo permette di avere un grande controllo su tutte le parti dell’imballo e quindi poter applicare la corretta etichettatura sui vari elementi o in alternativa secondo la norma vigente.

Ma cosa succede se l’articolo introdotto sul mercato proviene dall’estero ed è venduto da un distributore straniero? O magari è solo l’imballo o una parte del prodotto ad arrivare dall’estero… Sarà necessario accordarsi con tutte le parti per intervenire a dovere, rivolgendosi al fornitore degli imballaggi per inserire l’etichetta giusta e, dove non è possibile, seguire una delle soluzioni alternative previste dalla norma.
È il caso di molti importatori, infatti, che commerciano merci provenienti da Paesi dove ci sono obblighi diversi per gli imballi (o non ci sono proprio) o che richiederebbero investimenti e costi non sostenibili rispetto al valore della merce stessa, se non vengono previsti a monte già dalla produzione.

La normativa non vuole prevaricare le attività di operatori e aziende intermediarie perciò sono previste delle soluzioni alternative, che però sono da valutarsi in base alla destinazione del prodotto: se al consumatore finale (B2C) o se per un utilizzo professionale (B2B).

Per esempio, per il mercato B2B è accettato poter inserire le informazioni dei materiali di imballaggio sui documenti di trasporto, oppure sul libretto di istruzioni. È possibile anche utilizzare dei canali digitali, rendendo facilmente accessibile una pagina del proprio sito web con le informazioni che non è stato possibile inserire sulla confezione stessa.

La differenza tra B2C e B2B

L’etichettatura ambientale si applica per entrambe le situazioni, ma la differenza sostanziale è che per il mercato B2C è richiesta una etichetta più specifica ed approfondita.

Per il mercato B2B è necessaria solo la codifica del materiale (secondo la Decisione 129/97/CE) apposta su ogni componente dell’imballo. È comunque consigliato di aggiungere anche indicazioni su dove può essere smaltito l’imballo e eventuali altri indicazioni relative alla raccolta.

Per il mercato B2C invece, oltre alla codifica del materiale, è obbligatorio inserire anche le informazioni sulla raccolta (se l’imballo va gettato nella plastica, carta, vetro, etc…). Rimangono fortemente consigliate le altre informazioni aggiuntive che possono facilitare lo smaltimento, specialmente se l’imballaggio è composto di più parti, ciascuna in materiale diverso.

Esempio di etichetta ambientale per B2B:

Esempio Etichetta ambientale B2B

Esempi di etichette ambientali per B2C:

Esempio Etichetta ambientale B2C - multicomponente
Esempio Etichetta ambientale B2C - multimateriale

La codifica dei materiali degli imballaggi

L’etichettatura ambientale va apposta su ogni componente dell’imballaggio, così da poterlo identificare facilmente per poi gettarlo nel bidone corretto. Tuttavia non tutte le componenti si prestano a questa “personalizzazione” perciò è possibile applicare l’etichettatura sulla componente primaria che rende più facile identificare le altre. Può essere l’esempio di un vasetto di salsa: l’etichetta avrà le varie indicazioni, che specificano che l’etichetta andrà smaltita nella carta, il coperchio nel metallo, ed il vasetto nel vetro. Per identificare i vari materiali si segue la codifica specificata nella Decisione 129/97/CE, che prevede questi codici:

Etichetta ambientale - codifica plastica
Etichetta ambientale - codifica carta

Etichetta ambientale - codifica vetro
Etichetta ambientale - codifica metalli
Etichetta ambientale - codifica legno

Il punto di vista di Bioecolution

Da quando è stata rilasciata la normativa abbiamo seguito con interesse l’evolversi della situazione per le aziende. Conosciamo le criticità a cui vanno incontro le aziende e abbiamo imparato a riconoscere i diversi contesti di utilizzo per consigliare al meglio i clienti sui loro oggetti promozionali personalizzati.

Collaboriamo con le farmaceutiche per procedere senza intoppi con gli uffici regolatori; sappiamo come guidare i Brand nel presentare i loro articoli personalizzati nel punto vendita con confezioni di eco-design facili da smaltire; così come abbiamo familiarità nel personalizzare oggetti a norma da distribuire alla propria rete di vendita.

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